I racconti della luna pallida d'agosto




Il portale verso la tradizione arcaica dell'era giapponese Edo (XVI sec) si apre di fatto già dalle sequenze iniziali con le coinvolgenti melodie del teatro Noh: ecco come il regista Kenji Mizoguchi da vita all'opera Ugetsu monogatari. E' proprio grazie all'innesto musicale che si ha l'impressione di vivere i romanzi di Euda Akinari dai quali il celebre registra nipponico ha preso ispirazione per questo film. Non c'è bisogno di addentrarci nella trama per notare con quale delicatezza il tempo sia dissociato dal contesto storico del film poichè l'avventura del protagonista Genjurô e di suo fratello Tobei esprime chiaramente la magia comune che vi è nella fiaba. Tutto viene servito su un piatto allegorico a cui lo spettatore non può rinunciare, maestria narrativa e dimensione fantastica ci conducono verso un dipinto tradizionale che ha vita propria. Già il titolo avverte come possa essere offuscato il chiarore della luna in una notte calda d'agosto se a vivere sono persone comuni la cui vita s'affaccia verso la ferocia di quel complesso storico. La drammatiche relazioni a cui andranno incontro dichiarano realtà all'atroce sofferenza che le consorti (Miyagi per Genjurô e Ohama per Tobei) provano a causa delle scelte individuali dei protagonisti. E' proprio la figura femminile quindi che, messa in luce da Mizoguchi,  esalta la rinuncia a se stessi, la prontezza alla sottomissione e le turbolenze affettive in cambio della virtù più semplice: il coraggio. Senza di esso la donna non sopravviverebbe alla catena di disgrazie che la travolgono. La recitazione degli attori poi è pura meraviglia, in grado di far rivivere l'impronta di un'epoca passata in cui spicca tanto grezzo l'uomo quanto fine la donna.








Quando si mette in gioco la propria vita (e quella di chi ci sta vicino) per avviarsi verso mete ignote non è difficile trovare ostacoli sul cammino, e le nostre debolezze agganciano strade impervie in cui soltanto lo smarrimento persiste. L'ambizioso Tobei si perderà di fatto nell'amarezza della guerra vivendo fugaci glorie in cambio della dimenticanza della moglie, la quale vivrà a sua volta la disgrazia per scelte non sue. Bisogna poi ricordare l'entità che seduce Genjurô, una donna nobile dall'aspetto sensuale che nasconde i tentacoli del desiderio fisico per appropriarsi della libertà di quest'ultimo, la realtà con cui si percepice il macabro aspetto dell'ombra che opera su Genjurô è intensa come non mai. Ella è infatti creatice di una passione effimera che lo trattiene (fisicamente nel tempo) lontano dal ricordo della propria famiglia ed è soltanto grazie all'aiuto di un saggio errante che è possibile la liberazione, il processo a specchio di autoriconoscimento e la successiva protezione mantrica ricondurranno Genjurô sulla retta via. E' questo il fulcro centrale dell'opera di Mizoguchi, la perdizione per il materialismo consumistico in cambio di beni semplici ma veri. Il sapore della polvere (la vita di campagna della famiglia), i segni propizi (il cadavere sul lago), la possenza demoniaca (il canto dall'armatura nella casata fantasma) sono alcuni dei frammenti che immedesimano lo spettatore nel dramma culturale di un'epoca le cui forme sono perdute. Se qualcuno è capace di tornare dall'avventura (come fa Genjurô) la voglia di rivivere il ricordo oscurerà i sensi, e quando tutto s'illuminerà di nuovo forse riconosceremo che non è stato solo un sogno, ma che abbiamo vissuto veramente.






Scena memorabile: La danza del fantasma ed il rituale che prende forma con il canto del padre defunto.

1 commento:

  1. intensa recensione per un film senza tempo. complimenti

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