Un condannato a morte è fuggito




Una storia vera priva di apparenze e falsità: è questo il proposito di Robert Bresson, realizzare un film fedele alla realtà che rispecchiasse onestamente il racconto autobiografico da cui ha preso spunto per il soggetto. Bresson è condraddistinto nel suo stile per la minimalizzazione della forma espressiva. Si trova infatti in Un condamné à mort s'est échappé una sceneggiatura scarna, ridotta all'osso ma allo stesso tempo in grado di esasperare l'evidenza e di condurre lo spettatore alla compartecipazione degli eventi. La scelta del regista di non far vivere le maschere al protagonista ma di poter eseguire semplicemente la disposizione dal copione comporta la totale assenza di recitazione e anche un senso di intimità con l'espressività percepita. Tutto è già scontato: durante la seconda guerra mondiale il giovane membro della Resistenza francese Fontain viene catturato e condannato a morte. Deciso a sfuggire alla pena capitale, riuscirà ad escogitare un piano che permetterà a lui ed al suo compagno di cella di fuggire dal forte di Montluc a Lione. Nonostante lo spettatore deduca  l'esito positivo della vicenda dal titolo la tensione emotiva non ne viene minimamente scalfita: solo quando Fontain riesce a fuggire dal forte è possibile tirate un liberatorio sospiro di sollievo.







Il forte in cui sono imprigionati Fontain e gli altri detenuti è un non-luogo privo di punti di riferimento spaziali e temporali, la cella è il loro mondo interiore. Soltanto al di là di quelle mura la vita può dirsi tale. Sono le inquadrature e la tecnica della macchina da presa che imprimono questa forza sullo spettatore: spazi angusti, illuminazione tenue e obiettivo puntato su particolari di ogni genere. La percezione di spazio interiore per noi come per Fontain è oppressiva e l'attesa logora i nervi. Ciononostante permane la speranza che anima l'ingegno e tiene la mente attiva. I prigionieri camminano verso il cortile per lavarsi accompagnati dalla messa in Do minore di Mozart (l'unica musica presente) quasi fosse un rituale che esaspera la loro condizione. E' proprio in queste condizioni che però, ci suggerisce Bresson, emerge in tutta la sua potenza la grande forza dell'umanità: l'irriducibile voglia di libertà, che spinge l'uomo a ricorrere al proprio ingegno, mancando qualsiasi altro mezzo (forza fisica, armi) per trasformare il comune nel formidabile (basti pensare all'uso che Fontain fa di un comune cucchiaio!) e vincere gli ostacoli. Senza le proprie risorse nulla sarebbe possibile e Bresson ce lo mostra in silenzio, senza orpelli e rinunciando alla spettacolarizzazione e alla violenza. Di ispirazione per molti (Fuga da Alcatraz, Papillon), questo è un film sulla fiducia in se stessi, sulla libertà.






Scena memorabile: La fuga di Fontain e del compagno nella notte...

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